Un sempre maggior numero di persone viene attratto in Kerala ogni anno alla ricerca di un’esperienza che coniughi benessere, mare e riposo.
Culla della sapienza Ayurvedica, questo Stato dell’India sud-occidentale è conosciuto come “Paese di Dio” per l’abbondanza delle risorse naturali immerse in una vegetazione lussureggiante e in un clima idilliaco.
È la meta ideale per scoprire i princìpi della “Scienza della vita” documentati per la prima volta nei testi sacri dei popoli ariani, i Veda, oltre duemila anni fa, ed è la meta ideale per coltivare la disciplina dello Yoga che, un tempo riservata ad una élite di pochi ricercatori spirituali, è ormai diventata un fenomeno di moda ovunque nel mondo e continua a richiamare frotte di praticanti più o meno convinti e consapevoli.
Anche a Varkala le scuole sono tante. Le pubblicità di alcune di loro mostrano bellissime immagini tropicali con modelle/i in acrobatiche posizioni che esibiscono fisici perfetti.
Mi dispiace ancora una volta vedere la preziosa disciplina associata a richiami superficiali che la fanno apparire più un fenomeno ginnico e modaiolo che un’autentica scuola di conoscenza tra le più profonde e complete in assoluto.
La maggior parte dei praticanti si lascia attrarre dalla promessa di benessere fisico e mentale, ma l’aspetto frivolo sta prendendo il sopravvento e ormai in tutta l’India, al nord come al sud, non si contano più gli istituti che rilasciano diplomi per insegnanti dopo un solo mese di pratica.
La preziosa disciplina ha bisogno di un tempo molto più lungo per essere appresa, metabolizzata e fatta propria tanto da poterla trasmettere ad altri.
Anche per i più superficiali, attratti da questo sogno di contorsionismo a buon mercato, la delusione è spesso dietro l’angolo: andando a fondo si scopre che i meravigliosi “resort” promessi dalle ammiccanti pubblicità sono centri o palestre a volte obsoleti e poco accoglienti, niente panorami esotici, alcune collocate sui tetti di case e ristoranti dove, se tutto va bene, durante la lezione si può godere lo spettacolo di meravigliosi tramonti tra le palme.
Quasi sempre i maestri sono cinquantenni indiani e lo stile proposto è il classico Hatha yoga (benedetto sia nei secoli!).
Chiedo come mai usino una strategia così ambigua per conquistare nuovi adepti e mi rispondono ciondolando il capo che quella è pubblicità e quindi concessa e giustificata.
Anche gli hotel hanno il loro maestro personale: valore aggiunto e maggior prestigio per la struttura ricettiva. Puntano sull’appeal che da sempre la spiritualità indiana esercita sugli occidentali.
Ci sono ovviamente le scuole serie e rispettabili, con insegnanti qualificati e preparati. Kasi e Chandra sono due tra i più quotati nella zona, hanno ormai una fama ed una esperienza che li rende affidabili e conosciuti anche oltre il confine dell’India e lavorano spesso in ritiri prevalentemente per occidentali.
La scuola Mathatitu conta tra i suoi discepoli una predominanza assoluta di stranieri che arrivano da tutto il mondo e propone training per insegnanti.
Per chi vuole invece immergersi in un’esperienza spirituale a tutto tondo, a pochi km c’e’ uno degli ashram di Shivananda (Yoga Vedanta Dhanwantari) che ospita studenti per approfondimenti personali o per formare nuovi insegnanti.
I corsi iniziano il primo e il 16 di ogni mese e durano due settimane. Gli insegnamenti prevedono non solo le Asanas, ma anche lo studio della filosofia, i canti dei bajan e l’assoluto rispetto dei tempi e del rigore tipico dell’ashram. Si mangia ottimo cibo vegetariano e si possono ricevere massaggi ayurvedici a cifre decisamente convenienti.
Ad una analisi obbiettiva e discriminante una cosa è comunque certa (come mi conferma Elena, anche lei insegnante di yoga e “ gestora” di una guest house locale) che se non ci fossero gli occidentali, probabilmente lo yoga in India sarebbe morto e sepolto da tempo: gli indiani sono generalmente poco interessati, a parte quelli che lo seguono per lavoro e lo insegnano. La maggior parte di loro si limita ad aderire alla religione indù passivamente, sono devoti spesso più per tradizione di famiglia che per fede personale e sentita.
Seguono la pratica in maniera superficiale, partecipano ai rituali durante le festività canoniche, che sono tante durante il corso dell’anno, considerando l’infinito numero di divinità esistente nel loro panteon e a qualche celebrazione o Puja di famiglia.
Il fenomeno yogico e meditativo è per loro scontato, un dato di fatto sempre esistito, non sono consapevoli dell’enorme eredità culturale che hanno ricevuto in dono dalla terra d’origine e purtroppo non sono in grado di apprezzarla ed usarla al meglio.
La mia dissertazione può forse essere sembrata un pò severa, ma purtroppo la stessa realtà, legata al business ed al profitto l’avevo riscontrata un paio di anni fa anche a Rishikesh, nel nord dell’India, altra città santa che accoglie pellegrini e aspiranti guru da tutto il pianeta, dove il fenomeno acquistava quasi i contorni di una proposta da “super market” spirituale.
Io sono assolutamente felice che lo yoga sia diventato così popolare e che un numero sempre crescente di adepti lo segua e ne faccia la propria strada maestra. Mi auguro però che l’autentico spirito “religioso” non venga sopraffatto dall’interesse e dalla speculazione, che la disciplina non diventi un programma di fitness per perdere peso, ottenere un corpo più sano (ben venga!) o persino per avere migliori performance sessuali e che la competitività che spesso si instaura tra gli allievi non superi l’umiltà e lo scopo principe della pratica: l’unione con il divino, la liberazione e l’illuminazione.