Raggiungo il piccolo villaggio molto più tardi rispetto all’ora prevista: ho già descritto la discrepanza dei “tempi indiani” rispetto alla realtà. É tardi e c’è moooolto freddo, sono già preoccupata all’idea della gelida cella frigo che mi aspetta per la notte.
I Rajastani sono convinti di non avere la stagione invernale, che dura in realtà poco ma che, durante le ore serali e notturne, è fredda quanto la nostra. Pawan mi accoglie con un braciere di fuoco crepitante, felice di rivedermi dopo un bel po’ di tempo.
Con un’aria soddisfatta mi dice di aver procurato un “heater” per me, un piccolo aggeggio ad aria che probabilmente non scalderà la stanza, ma che, accuratamene puntato addosso a me, eviterà perlomeno il congelamento.
Sopravvivo alla notte: la meditazione sul calore mi aiuta a stabilizzare la temperatura e a dormire in modo da essere in forma l’indomani.
Pushkar è un gioiello al centro della regione. Poco più grande del lago nel quale è incastonata, attrae gente da tutto il mondo durante l’arco dell’anno.
Devoti Indù reali e dilettanti si confondono e si mischiano. I “dilettanti” sono un variegate esercito di fricchettoni di varie nazionalità: israeliani, americani, europei etc, che vagano con i loro look variopinti, le t-shirt con i disegni dei vari mandala, i tattoo raffiguranti Shiva e le varie divinità, i lunghi dread, i mala appesi al collo e lo sguardo trasognato di chi in India trova un rifugio dove spesso passare diversi mesi e “svernare”.
I veri devoti sono i Sadhu, i Vaishnavas vestiti di bianco che passano mesi in meditazione silenziosa, i sacerdoti che celebrano le puje e qualche occidentale colpito sulla via dell’Induismo che studia i Veda, i canti e vive ormai in pianta stabile nel villaggio.
Esperienze umane che fanno di Pushkar il centro di una ricerca mistica che sta però virando verso il consumismo e il business. La prima volta che ho visitato il paesino, circa 18 anni fa, era veramente il posto sacro che ancora oggi dovrebbe essere.
Le 52 antiche Ghats, le porte che conducono al lago, circondate da innumerevoli templi e le gradinate sacre del lago, la rendono simile ad una piccola Varanasi (Benares). A quei tempi il bus arrivava alla periferia, e i carretti con le ruote trascinate dai portatori aiutavano i visitatori a trasportare i bagagli più pesanti nelle diverse abitazioni.
“Shanti “ era il termine appropriato per l’atmosfera che si respirava. Le Puje e le Aarthi scandivano i tempi quotidiani e le attivita attorno alle quali si svolgeva la vita delle persone. Era proibito bere alcolici, mangiare animali e tutto cio che veniva prodotto da essi, a parte il latte e i suoi derivati. I templi sparsi ovunque attorno al lago vivevano di vita propria, sostenuti e curati dai devoti seguaci.
A distanza di tempo, le cose sono un po’ cambiate: il Main Bazaar, il grande mercato che circonda la parte esterna del lago, è diventato il grande protagonista della vita pubblica, attirando persone da tutto il mondo.
I commercianti arrivano per farsi produrre ogni sorta di articoli di artigianato, data la perizia dei produttori indiani e la loro forte determinazione ad evolversi ed arricchirsi (non dimentichiamo che l’India è uno degli stati al mondo che maggiormente sta galoppando sulla via della crescita dell’impero economico).
Il “sacro” territorio intorno al lago, una volta silenzioso e rispettato è ora invaso da scooter, grosse motociclette, automobili, vacche e animali che rendono difficile e pericoloso il passaggio già stretto. I guidatori usano i clacson in maniera ossessiva e forsennata trasformando il quieto via vai in un trambusto difficile da gestire.
Il mercato offre ogni genere di”chincaglieria”: dai vestiti sempre più modaioli e glamour, segno che il gusto occidentale sta ormai dettando legge, sino agli accessori di moda, perle e collane, articoli per la casa, m eravigliosi oggetti d’argento, pietre preziose etc.
Nonostante tutto questo, Pushkar non perde il suo antico fascino e la lunga passeggiata di 20 minuti che inizia nella Jaipur Ghat e finisce nel Brahma Temple dura solitamente molto di più. La strada è costellata di ristoranti che offrono cibo buono e profumato di spezie, gli indiani sono simpatici e accoglienti e le scuse per fermarsi ad ogni angolo sono tante e varie.
La sera, alle sei e mezzo, anche qui tutto si ferma un attimo. Le campane delle Puje risuonano nell’aria richiamando i devoti ad un attimo di raccoglimento nei vari templi e nel Sunset Corner, all’altra estremità del villaggio, si radunano turisti e pellegrini che al ritmo di tamburi e percussioni salutano il sole che regala tramonti tra i più belli mai visti, riflettendo il cielo infuocato nelle calme acque del lago.
I pandit, i preti locali cercano anche loro “clienti” per le cerimonie, diventando a volte un po’ eccessivi, sia nella richiesta di denaro che nell’opera di convincimento che diventa “poco spirituale” e ormai destinata ai turisti inconsapevoli che a volte pagano cifre impensabili per una preghiera ai morti o una semplice benedizione.
Ritrovo Prakash, collega e insegnante di yoga con il quale pratico ogni volta che vengo a Pushkar. Mi racconta che purtroppo non c’è una moltitudine di persone desiderosa di imparare la disciplina e i pochi adepti sono ormai sparpagliati nelle varie scuole che nel tempo stanno nascendo.