La Birmania mi ha lasciata perplessa : era la nazione che mi incuriosiva maggiormente e quella per la quale nutrivo l’interesse maggiore.
Avevo seguito con passione la storia della liberazione e tifato per San sous chi quando finalmente era stata liberata dai lunghissimi arresti domiciliari qualche anno fa. La moderna eroina si era coraggiosamente battuta per anni contro il repressivo e autoritario regime militare che ha messo in ginocchio la nazione per un periodo troppo lungo. Purtroppo la presunta apertura del paese è ancora molto lenta, il turismo è possibile solo da un periodo relativamente recente e i limiti e le difficoltà sono subito evidenti non appena si passa il confine con la Thailandia.
Per i visitatori appartenenti a gruppi di viaggi organizzati è tutto piu’ facile; si arriva a Yagon, ex Rangoon, la vecchia capitale e si è già nel circuito turistico entro il quale gli eventi sono organizzati e tutto funziona alla perfezione come ovunque nel mondo: vacanze sterili, affascinanti ma poco inserite nel contesto reale della vita vera. Ma se, da buoni viaggiatori indipendenti si percorre il cammino via terra arrivando dal confine con la Thailandia o con gli altri stati, le difficoltà sono decisamente maggiori.
I due stati sono divisi da una larga e squallida strada che separa i due territori. Mae sae sul confine thailandese è una piccola cittadina senza nessuna caratteristica interessante e Taichilek non è da meno. Capisco immediatamente di essere arrivata in un territorio dove le cose non saranno altrettanto facili rispetto ai paesi gia visitati. La differenza tra Thailandia e Myanmar è evidente e sconcertante. Tanto la prima è moderna e organizzata, con un’industria del turismo ormai consolidata da decenni, cosi la seconda manca completamente o quasi, delle piu elementari necessita dei viaggiatori.
Arrivo a Taikilek di mattina e mi informano che l’unico bus disponibile per lasciare la città è già partito alle otto del mattino e non ci sarà nessuna altra possibilità di lasciare il posto sino all’indomani. Non è esattamente una cittadina piacevole né tantomeno stimolante e l’idea di spendere anche solo un giorno qui mi deprime già.
Capisco piu tardi che, in ogni caso, il presunto bus mi avrebbe portato in un altra localita chiamata Keng tung dalla quale non sarei potuta partire se non in aereo, pagando fior di dollari. Capirò piu tardi che la Birmania non è un paese libero, e la maggior parte delle regole sugli spostamenti all’interno della nazione sono tuttora sotto il controllo del governo. Questo fà sì che il meraviglioso territorio sia uno dei più difficili da attraversare. Dopo un paio di disavventure e perdite di tempo con guide locali che mi trasportano da un’ agenzia di viaggi all’altra senza il minimo successo, decido di prendere una decisione estrema: raggiungere Yangon con un unico volo ed evitare tutte quelle che mi sembrano delle complicazioni importanti, considerando il fatto che quasi nessuno sembra parlare inglese qui.
Sogno una visita alle pagode di Bagan, i meravigliosi monumenti risalenti al 1300, ma prima ancora una capatina al lago di Inle dove c’e una importante scuola di yoga. Purtroppo vedo saltare la maggior parte dei progetti a causa della mancanza di adeguati mezzi di trasporto e per i prezzi troppo alti, non sicuramente adatti al budget di una viaggiatrice non turista, mirati ad una classe di vacanzieri piu’ abbienti, visto che la maggior parte degli hotel sono direttamente o indirettamnete controllati dalla classe governativa ed hanno uno standard decisamente poco “asiatico”, ma molto piu’ occidentale. Da Yangon in poi si puo’ finalmente viaggiare in bus, ma i mezzi locali mi fanno quasi rimpiangere anche I piu scomodi usati nei precedenti stati.